Seguire le novità e gli aggiornamenti che scandiscono la nostra quotidianità è un passaggio obbligato per chi desidera rimanere appetibile nel mercato dell’immagine.
L’esplosione delle opportunità offerte dalla AI impone una revisione costante degli strumenti e dei processi da adottare per ottenere risultati ottimali.
Oggi è indispensabile saper miscelare linguaggi e tecnologie differenti – analogico, digitale, artificiale, virtuale – consapevoli che non esiste il “cocktail perfetto”: ogni progetto richiede un equilibrio specifico, calibrato sulle esigenze del singolo lavoro. Solo così si evitano soluzioni sbilanciate, prevedibili, standardizzate, a volte anche sgradevoli.
Ci sono però degli ingredienti che non possono mancare, elementi strutturali che impediscono ciò che viene definito il “deskilling costitutivo”, ovvero la progressiva perdita delle abilità che ci rendono umani.
Serve una buona dose di giudizio, di immaginazione, di empatia. Ma non basta. Si deve aggiungere l’esperienza sedimentata nel tempo, la conoscenza costruita attraverso il contatto con le situazioni reali, la cultura personale che proviene dall’aver osservato, sbagliato, corretto.
È un sapere che non deriva dall’accumulo di informazioni, ma dalla fatica fisica e mentale di portare a compimento un lavoro, dal sudore che accompagna l’urgenza di trovare soluzioni, dalle emozioni che filtrano inevitabilmente la percezione di ciò che si guarda.
Tutto questo costruisce una sensibilità unica, non replicabile, che conferisce valore al risultato finale proprio perché nasce da un corpo, da una storia, da un vissuto.
È la componente umana che, con le sue imperfezioni e intensità, produce esiti che nessuna intelligenza artificiale può generare: non per mancanza di efficacia, ma per assenza di vita.

